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martedì 5 novembre 2024

Malattie croniche: al via il progetto di Regione Puglia e Novartis Italia per potenziare la gestione della cronicità

SANITÀ: IN PUGLIA QUASI IL 13% DELLE PERSONE CONVIVE CON UNA MALATTIA CRONICA. AL VIA IL PROGETTO DI REGIONE PUGLIA E NOVARTIS ITALIA PER POTENZIARE LA GESTIONE DELLA CRONICITÀ.

 

·       Quasi il 13% dei cittadini pugliesi convive con una patologia cronica e circa il 2,5% ne presenta addirittura più di due.[1]

·       Regione Puglia e Novartis Italia uniscono le forze per avviare un progetto finalizzato a migliorare la gestione delle cronicità sul territorio, attraverso l’ottimizzazione dei percorsi organizzativi e facendo leva sulle potenzialità offerte dalla tecnologia.

·       Il protocollo firmato tra la Regione Puglia e Novartis si aggiunge al percorso sinergico già avviato con il Progetto Hermes, volto al potenziamento della gestione digitale dei pazienti cronici pugliesi grazie alla telemedicina con oltre 630 tele-visite organizzate tra il 2022 e 2023.

 

Bari, 5 novembre 2024 – Circa il 13% dei cittadini pugliesi convive con una malattia cronica, in cui rientrano anche i tumori, con circa il 2,5% costretti a fare i conti con due o più patologie croniche1. Dati significativi destinati a crescere anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.

La Regione Puglia è da sempre in prima linea nel rispondere ai bisogni assistenziali e di cura delle persone con cronicità, anche attraverso le opportunità offerte dalla tecnologia. In questa prospettiva nasce la condivisione di un Progetto nell’ambito del protocollo siglato da Regione Puglia e Novartis Italia, per migliorare la gestione dei pazienti cronici sul territorio regionale.

Il progetto si concentrerà sull’ottimizzazione dei percorsi organizzativi con particolare attenzione alla continuità assistenziale ospedale-territorio e sulle potenzialità offerte dalla tecnologia, in particolare dalla telemedicina, già al centro del progetto Hermes che ha visto la condivisione di una sperimentazione tra la Regione Puglia e Novartis Italia per potenziare la gestione digitale de pazienti cronici pugliesi.

 

Garantire una risposta concreta ai bisogni dei pazienti cronici è una delle priorità della nostra amministrazione”, ha detto il vicepresidente della Regione Puglia e neo-assessore alla Salute, Raffaele Piemontese, sottolineando che “con l’impegno di risorse tecnologiche e competenze condivise, intendiamo rendere più accessibile e vicina l’assistenza sanitaria ai cittadini. Il nostro obiettivo – ha aggiunto Piemontese – è che, grazie a modelli assistenziali moderni come la telemedicina, il paziente pugliese possa contare su un sistema di cure efficace, rapido e monitorabile in ogni fase del percorso”.

  

“La sinergia di tutti gli attori del Sistema Salute è fondamentale per dare risposte efficaci alle sfide poste dalla cronicità e migliorare la presa in carico dei pazienti cronici, anche attraverso l'utilizzo della tecnologia. Ed è proprio in questo senso – afferma Valentino ConfaloneCountry President di Novartis Italia – che si inserisce l’impegno di Novartis ad agire al fianco della Regione Puglia. Una collaborazione che vede aggiungersi un nuovo e significativo tassello per reimmaginare la sanità del futuro mettendo a fattore comune le rispettive competenze tecniche e scientifiche”. 

 

Guidato da un tavolo di lavoro regionale, il progetto Hermes ha portato alla co-ideazione di un modello operativo digitale e quindi di un “percorso paziente” digitalizzato che è stato implementato come progetto pilota nelle UU.OO di riferimento dell’AOU Policlinico di Bari e dell’AOU Policlinico di Foggia. Dall’avvio del progetto – tra il 2022 e il 2023 – sono state effettuate complessivamente oltre 630 tele-visite nel Policlinico di Bari in neurologia, reumatologia e medicina interna.

 

Il progetto Hermes si inserisce nell’impegno della Regione Puglia per sperimentare le potenzialità del digitale in ambito sanitario attraverso l’implementazione di modelli innovativi nell’ambito delle patologie croniche e mette al centro il paziente in tutte le fasi della malattia, dallo screening al follow-up, garantendo così anche continuità e prossimità di cura.

 

[1] https://www.epicentro.iss.it/passi/dati/croniche

IL VOLTO UMANO DEL MEDIOEVO


Trento, 5 novembre 2024 – (p.s.) Chi ha detto che il Medioevo è stata un’epoca completamente buia, caratterizzata da arretratezza culturale e scarsa sensibilità? Da quanto emerso da una recente ricerca archeologica, non mancavano atti di umanità e civiltà. Un gruppo di ricercatori e ricercatrici ha scoperto i resti di una persona affetta da acondroplasia, una forma di nanismo che rientra nel novero delle malattie rare. Si tratta del sesto caso ritrovato in Italia in uno scavo archeologico. E questo è stato possibile accertarlo applicando criteri clinici che prima non erano mai stati utilizzati per diagnosticare questa patologia su un campione umano antico. Ma un altro aspetto interessante di questo rinvenimento riguarda l’ubicazione in cui le ossa si trovavano, e cioè all'interno di un cimitero, insieme ai resti di altre persone. Secondo chi ha condotto lo studio, questo dimostrerebbe che, in questo caso, il pensiero comune che gli individui affetti da patologie e malformazioni venivano emarginati dalla società medioevale è forse da rivedere.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Direct.
La ricerca. Il primo autore è Omar Larentis, ricercatore al Laboratorio Bagolini Archeologia, Archeometria, Fotografia del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, già coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia dell'Università dell'Insubria. Interdisciplinare il gruppo di ricerca. Al suo interno troviamo professionisti e professioniste con competenze in biologia, storia della medicina e radiologia.
Larentis in particolare, è antropologo fisico e paleopatologo. Si occupa di restituire un'identità ai corpi di persone che emergono dagli scavi attraverso analisi biologiche. E di riconoscere malattie antiche sui resti di natura archeologica.
Le attività si sono svolte nel cimitero della chiesa di S. Eusebio ad Azzio, in provincia di Varese, nella zona della Valcuvia, in uno scavo che era già avviato nel 2012 dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese sotto la direzione scientifica di Barbara Grassi, la funzionaria territorialmente competente.
Durante le operazioni sono stati scoperti due frammenti di ossa – parti di omero e femore – diversi rispetto al solito dal punto di vista morfologico: erano infatti molto piccoli, arcuati e tozzi. Subito chi conduceva i lavori ha capito di essere di fronte a una patologia non comune. La sfida è stata riuscire a proporre una diagnosi differenziale con così pochi elementi.
In che modo? Applicando per la prima volta metodologie cliniche impiegate per pazienti moderni. Utilizzando non solo dati provenienti dalla letteratura clinica e paleopatologica, ma anche facendo valutazioni morfometriche macroscopiche e tecniche radiologiche. Le ossa sono state esaminate mediante radiografia digitale e tomografia computerizzata, e poi ricostruite in 3D. Ogni frammento osseo è stato scansionato con tecnologie all’avanguardia e innovative.
Da tutto questo si è stabilito che il soggetto fosse affetto da acondroplasia, una displasia scheletrica rara che si manifesta con una forma di nanismo disarmonico, e che avesse un’età perlomeno adulta. Come detto, si tratta del sesto caso in Italia che arriva da un contesto archeologico. Gli altri ritrovamenti sono avvenuti uno a Cividale del Friuli, un altro a Roma, uno nella grotta del Romito (Cs), uno a Modena e un ultimo nella certosa di Bologna.
«Il nostro lavoro è riuscire a verificare la presenza delle patologie all'interno delle società passate – spiega Omar Larentis che continua – e grazie alla loro prevalenza capire dove e quando erano presenti».
L’altra questione che sta a cuore agli studiosi e alle studiose riguarda la cosiddetta “archeology of care”, l'archeologia della cura. O ancora, in che modo le comunità antiche accettavano e accoglievano le persone con infermità o disabilità.
Nella maggior parte dei casi in cui si verifica l’acondroplasia, le braccia delle persone non riescono a compiere una flessione normale. Una condizione non del tutto invalidante, ma che impatta sulla qualità di vita di chi ne soffre.
Mentre è capitato in altri ritrovamenti, come quello di Roma, che il soggetto con malformazioni si trovasse al di fuori della necropoli, in una posizione marginale rispetto alle altre sepolture, nel caso oggetto dello studio il defunto era posto all'interno di un cimitero insieme alle altre persone. Questo dimostra che il personaggio di Azzio era accettato dalla collettività. Una cosa non scontata, sottolinea Larentis, considerando il periodo. Ci troviamo nel Medioevo, dove da un certo momento in poi alcune categorie di persone non avevano diritto di sepoltura all'interno dei cimiteri cristiani. Ma la norma cede alla prassi. E questo ritrovamento permette di riflettere su alcune convinzioni.
«Abbiamo dimostrato come sia possibile fare una delle diagnosi più complesse, partendo anche da pochi frammenti che solitamente si tende a ritenere meno importanti. Io credo invece che ci voglia la stessa cura. Anche perché lavoriamo con persone. Raccontiamo le loro storie togliendole dall’oblio. Ridiamo memoria a chi l’ha persa nei secoli».
Lo studio “Dwarfism-related skeletal dysplasia in Italy. Multi-analytic study of 8th century CE human remains from Azzio (Varese) and biocultural implications of a pathology” è stato condotto da Omar Larentis dell’Università di Trento e da Enrica Tonina, Massimo Venturini e Ilaria Gorini dell’Università dell’Insubria.

È stato pubblicato dalla rivista Science Direct ed è disponibile a questo link:

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FSC, Congedo: "Con il Governo Meloni stop a sprechi, regalie, clientele. La sinistra se ne faccia una ragione."

 "L'esperto collega deputato e già capo di gabinetto del presidente Emiliano, On. Claudio Stefanazzi, si arrampica sugli specchi nel tentativo di difendere l'indifendibile.

Le risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione sono destinate, anche ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1 del dl 124/2023, ad interventi infrastrutturali o a linee di azione. Il governo di Giorgia Meloni e nello specifico il Ministro Fitto che ne ha la delega, in coerenza con le finalità del FSC ha inteso destinare le risorse alla realizzazione di infrastrutture funzionali alla riduzione dei divari economici e sociali del mezzogiorno. In questi anni alcune regioni del Sud, fra cui la Puglia , hanno utilizzato le risorse europee e nazionali destinate alle politiche di coesione a spese corrente, in alcuni casi per eventi e iniziative di nessun ritorno per il territorio, magari solo perché organizzati da amministrazioni amiche. È stata così completamente snaturata la tipologia del fondo che come è noto è un fondo di conto capitale e non di spesa corrente. 
Invece, è evidente anche ai non addetti ai lavori, che la riduzione dei divari non ha bisogno di spesa corrente ma di investimenti in contro capitale di qualità. Ed è questo il senso dell'impostazione che il Governo Meloni ha inteso dare all'utilizzo dei fondi FSC con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. I fatti confermano che il Governo Meloni lavora per il Sud, per i giovani, per la riduzione dei divari territoriali e soprattutto per la crescita economica, come certificano i recenti dati  Svimez, che vedono il Mezzogiorno crescere di circa mezzo punto in più della media nazionale, con un incremento di nuovi occupati pari al 2,6%, a fronte di un tasso medio pari all'1,8%, e con gli investimenti in opere pubbliche ed in infrastrutture che passano da 8,7 miliardi nel 2022 a 13 miliardi nel 2023.
Chi oggi, a cominciare dalla sinistra al Governo della Regione Puglia, fa finta di non conoscere le norme e contesta questa impostazione, se ne faccia una ragione. Con il Governo Meloni è finito il tempo dello scempio del Fondo di Sviluppo e Coesione utilizzato per sprechi, regalie, clientele."
Così, il deputato salentino On. Saverio Congedo capogruppo di Fratelli d'Italia in Commissione Finanze

LA RICERCA DIALOGA CON IL TERRITORIO

Al via venerdì 8 novembre la prima edizione di “Cibio incontra”, iniziativa organizzata dal Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata. Un’occasione per conoscere l’attività di ricercatori e ricercatrici, vedere cosa accade nei laboratori e scoprire i progressi della scienza sulle malattie rare e genetiche. Le prenotazioni per le visite guidate ai laboratori chiudono il 7 novembre

Trento, 4 novembre 2024 – (p.s.) Riuscire a comunicare i risultati della ricerca scientifica a un pubblico di non addetti e trasmettere in questo modo l’importanza di sostenere indagini, studi e attività di ricerca, anche se non sempre gli esiti sono immediati e tangibili. Per fare questo ci vogliono preparazione e formazione. Ma anche occasioni di incontro e confronto.
Nasce da qui l’idea di “Cibio incontra”, l’iniziativa in programma venerdì 8 novembre a partire dalle 15 al Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata – Dip.Cibio (Polo Ferrari 2 - Via Sommarive, 9). Un pomeriggio in cui docenti, giovani ricercatori e ricercatrici si mettono a disposizione di chi ha la curiosità di conoscere il loro lavoro. Un primo evento che si vuole trasformare in un appuntamento fisso annuale, in cui cittadini e cittadine possono entrare negli spazi del polo scientifico della collina di Povo per dialogare con chi si occupa di biologia e biotecnologie.
Questa “edizione zero” è dedicata al tema delle malattie rare e genetiche, uno dei temi su cui si concentra da sempre l’attenzione di chi si impegna quotidianamente al Dipartimento. Un momento al quale partecipano anche le associazioni del territorio che si occupano di questo argomento e che sono parte attiva dei progetti di ricerca che contribuiscono a sostenere grazie a donazioni e a iniziative di sensibilizzazione.
Il pomeriggio si articola in quattro momenti. Il primo si svolge secondo la formula ormai conosciuta e riuscita della conferenza in ‘stile Ted’. Sul “palco” Gabriele Trentini, dottorando in Scienze biomolecolari, Ilaria Brentari, assegnista di ricerca e Marta Stancampiano, dottoranda in Scienze biomolecolari. Ciascuno di loro lavora su una malattia genetica come la malattia di Làfora, la demenza frontotemporale e la fibrosi cistica.
Dopo aver seguito un corso di formazione specifica sulla comunicazione della scienza con Michela Catenacci, formatrice e co-organizzatrice di TEDxTrento, sono pronti per raccontare il proprio progetto, le ricadute di una maggiore comprensione di queste patologie, i possibili approcci terapeutici.
I Ted talk. La fibrosi cistica è una malattia genetica grave e ricorrente nella nostra area geografica. Il 4% della popolazione italiana ne è portatore sano e si registrano circa 200 nuovi pazienti ogni anno. L’incidenza è di 1 caso ogni 2.500–2.700 persone. Colpisce più organi del corpo umano, principalmente l'apparato respiratorio e le vie aeree, il pancreas, il fegato, l'intestino, l'apparato riproduttivo. Grazie alla ricerca, agli screening neonatali e ai progressi nelle tecniche di trattamento, oggi le prospettive di vita di chi è affetto da questa condizione sono migliorate di molto. Per correggere il difetto genetico che causa la malattia sono promettenti le terapie che agiscono sul DNA mutato applicando la tecnica del “taglia e cuci” Crispr-Cas. Marta Stancampiano, dottoranda del laboratorio di virologia molecolare della professoressa Anna Cereseto, racconterà quali soluzioni sta esplorando la ricerca per trasportare le nuove modalità terapeutiche all'interno delle cellule polmonari.
La malattia di Làfora è una patologia genetica neurologica progressiva di cui si sa ancora poco. È caratterizzata da crisi epilettiche, un rapido deterioramento neurologico, demenza infantile, deterioramento psichico e cognitivo. Si manifesta nel periodo dell’adolescenza e ad oggi non esistono cure. In Italia si stima che siano meno di trenta i bambini e le bambine con questa problematica. Come strade diverse possono convergere verso la stessa meta, così nella ricerca di nuove terapie per la malattia di Lafora, Gabriele Trentini, dottorando del Dipartimento Cibio nel laboratorio del professor Graziano Lolli, presenterà il suo lavoro su differenti approcci alla ricerca di una terapia, sottolineando poi l'importanza della collaborazione nel mondo delle malattie rare.
La demenza frontotemporale è un disturbo ereditario che rientra nel gruppo delle malattie neurodegenerative. Colpisce la parte frontale e laterale del cervello. Rappresenta una delle forme di demenza neurodegenerative più diffuse, dopo l’Alzheimer. Sono circa 12mila i nuovi casi in Europa ogni anno. A differenza delle altre demenze, la frontotemporale tende a comparire in età relativamente giovane, tra i 45 e i 65 anni. Si manifesta con un declino progressivo delle capacità di linguaggio e motorie e anomalie del comportamento. Finora non ci sono terapie. Ilaria Brentari, giovane ricercatrice post-doc del Dipartimento Cibio nel laboratorio guidato dalla professoressa Michela Denti, racconterà la ricerca che ha svolto durante il suo dottorato, in cui dimostra che, in neuroni in coltura, è possibile utilizzare delle corte molecole di RNA per correggere i difetti genici alla base di alcune forme di demenza frontotemporale.
Il secondo momento contempla una tavola rotonda per discutere non soltanto di questi tre progetti di studio ma di scienza in senso più ampio, dell'importanza di comunicare il valore della ricerca fondamentale. Un processo graduale e partecipativo che richiede la collaborazione attiva da parte di pazienti, operatori sanitari, associazioni e stakeholders.
Intervengono: Paolo Macchi, direttore del Dipartimento Cibio; Marta Biagioli, professoressa di Neuro-epigenetica e Michela Alessandra Denti, professoressa di Biologia e biotecnologia dell'RNA, entrambe afferenti al Dipartimento Cibio; Valentina Adami, responsabile Core facilities del Dipartimento Cibio.
La discussione è aperta e chiunque può intervenire per fare domande e osservazioni.
A seguire, per chi vuole, sono previste le visite guidate ai laboratori del Dipartimento Cibio.
Il pomeriggio si conclude con un momento conviviale durante il quale è possibile discutere e conversare con i ricercatori e con le ricercatrici in un contesto meno formale. Parlare con loro di quello che studiano, comprendere più da vicino i loro interessi, scoprire aspetti meno noti del loro lavoro.
L’iniziativa “Cibio incontra” è realizzata con il supporto della Fondazione Caritro.
L’invito a partecipare è rivolto a tutta la cittadinanza.
Per partecipare alle visite guidate ai laboratori è necessario prenotarsi qui entro le ore 12 di giovedì 7 novembre.
Maggiori informazioni sono disponibili a questo link https://webmagazine.unitn.it/node/122221


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