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giovedì 9 maggio 2024

In uscita il 23 aprile per Piemme 'Se bastasse l'amore' di Arianna Gnutti

 Il primo ricordo che ho della mia vita è una brocca gialla. Avevo all’incirca due anni. Era una grande brocca gialla, tutta sbeccata, da cui qualcuno versava dell’acqua sul mio corpo. Ero sull’asfalto, ai bordi della strada, sbalzata fuori dall’auto in corsa, in una giornata soleggiata dell’estate del 1974. La brocca piena d’acqua versata sulle mie ginocchia insanguinate era di alcuni nomadi, venuti in mio soccorso, in attesa dell’ambulanza. Il mio primo ricordo è quindi di gratitudine: per essere sopravvissuta e per essere stata aiutata. E da allora, io non ho mai smesso di essere grata alla vita.

“Se bastasse l’amore” è il mio secondo libro. Il primo, pubblicato nel 2014, “Ho scelto di essere felice”, l’avevo scritto per ringraziare tutte quelle persone che avevano contribuito fino a quel momento alla mia evoluzione interiore; quindi, non necessariamente solo i miei amici, cui il libro era dedicato, ma anche chi mi aveva fatto del male. Ritenevo allora, e a maggior ragione adesso che ho raggiunto una maggiore consapevolezza, che è solo grazie ai momenti bui, anche quelli nero pece, che, se si vuole, si può riscoprire il valore della luce, apprezzandone anche un fioco raggio. Questa è parte della mia filosofia di vita, una filosofia che affonda le radici nella praticità dei miei nonni, nella saggezza dei miei genitori, nei loro insegnamenti dati dall’esempio quotidiano, nell’amore, nel senso del dovere, del rispetto e della condivisione con il prossimo. Sono cresciuta attraverso gli insegnamenti che ho appreso da chi ha formato il mio pensiero. Da ragazzina, mi sono innamorata di Richard Bach, ho viaggiato ad occhi aperti attraverso John Steinbeck e Paul Theroux, leggevo Paulo Coelho e apprezzavo Eric Fromm senza però, allora avere la consapevolezza di comprendere appieno che per amare gli altri è prima necessario amare se stessi. Ci avrei messo ancora tanto tempo. All’università, ho sognato di poter viaggiare nel tempo e far parte del circolo del Bloomsbury, conoscere Virginia Woolf e frequentare anche James Joyce, Thomas Stearns Eliot e soprattutto William Butler Yeats. Crescendo, sono rimasta affascinata da figure, personaggi, scrittori, pedagogisti e filosofi di tempi e contesti diversi, verso i quali sono in grande debito per ciò che ho ricevuto dal punto di vista della conoscenza e da quello spirituale. Da Lorna Byrne a Deepak Chopra, da Brian Weiss a Comenio a Locke, da Doris Lessing a James Joyce, fino a Carl Gustav Jung e Karl Jaspers, tanto da aver scritto una tesi su parte del loro pensiero nella mia terza e, a questo punto, direi pure ultima laurea, conseguita nel 2024, 24 anni dopo la prima e 5 dopo la seconda. Vivo la vita come un’esplorazione continua di ciò che mi circonda, per nutrire la mia anima di conoscenza. Vivo di passione e di gratitudine. Amo condividere ciò che ho appreso nel tempo, e lo  faccio sia in ambito professionale, data la mia esperienza come amministratore d’azienda e esperta in comunicazione, sia in termini pedagogici dopo tanti anni di insegnamento come docente universitaria. Credo fermamente in una pedagogia circolare. Ogni volta che esco da un’aula in cui ho fatto formazione aziendale o personale così come ogni volta che termino una lezione in ateneo, io so che oltre ad avere insegnato, ho imparato, in particolare dai miei studenti, qualcosa di nuovo che mi ha arricchita.

 

In “Se bastasse l’amore” c’è tutto questo mio essere. C’è il mio battermi senza sosta e senza tregua contro il mostro dell’anoressia insidiatosi nella testa di mia figlia Maria Beatrice allora preadolescente. Ci sono io, mamma, ma prima ancora una donna che, dopo anni di insicurezze, poco prima dei cinquant’anni, aveva finalmente imboccato la strada dell’autoconsapevolezza, che aveva appena riscoperto il proprio valore. Scrivere “Se bastasse l’amore” è stato per me quanto di più faticoso possibile. Ho sempre amato scrivere – ho lavorato come giornalista pubblicista per tanti anni – ma descrivere o mostrare il mio dolore mi viene difficile, perché nella mia quotidianità preferisco condividere la gioia, lasciando così le mie sofferenze o persino una mia giornata storta dentro di me. E ogni giorno scelgo scientemente di non rivolgermi al passato con rimorsi o rimpianti, ma mi impongo di pensare al hic et nunc con un occhio al futuro. Un giorno, sei mesi dopo l’uscita dall’ultimo di quattro ricoveri consecutivi negli ospedali mano nella mano di Maria Beatrice, in un viaggio attraverso l’inferno in cui l’avevo vista sull’orlo della morte per tre volte, guardando lei seduta accanto a me e mia figlia piccola Adelaide seduta dietro, ho pensato che fosse arrivato il momento di condividere anche il dolore e la fatica. E di farlo per aiutare gli altri. Lì, in auto, ho pensato a quelle ragazzine che ancora si trovavano in cura in ospedale, in comunità, in clinica e ho pensato anche alle loro mamme. Mi sono poi ripassati davanti i visi di quelle ragazze che avevo conosciuto e che erano state mangiate nel corpo e nella mente dal mostro dell’anoressia tanto dall’esserne inghiottite per sempre. Le lacrime hanno cominciato a rigarmi il viso. In quel momento ho deciso che dall’indomani avrei scritto un libro. Lo avrei fatto anche per loro, per dovere morale. Un libro scritto anche con contributi di mia figlia Maria Beatrice, di mia mamma e di mia figlia Adelaide. L’anno successivo il libro avrebbe vinto il premio letterario Zanibelli nella sezione inediti. Da qui è nata la pubblicazione con Piemme.

“Se bastasse l’amore” è un libro di amore incondizionato tra donne: mia madre, le mie due figlie e me. L’ho scritto con la speranza che possa essere utile. Un libro di speranza per chi sta combattendo una qualsiasi grande battaglia, anche con se stesso.





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