5 marzo - 30 maggio 2025 / Inaugurazione mercoledì 5 marzo,
ore 17 – 21
GALLERIA FUMAGALLI / Via Bonaventura Cavalieri 6, Milano
galleriafumagalli.com
Dal 5 marzo al 30 maggio 2025, la Galleria Fumagalli ospita l’esposizione Essere Donna. Il corpo come strumento di creazione e atto di ribellione.
Ispirate dalle parole di Oriana Fallaci, le curatrici Maria
Vittoria Baravelli e Annamaria Maggi scelgono di esporre opere iconiche di
artiste quali Marina Abramović, Sang A Han, Annette Messager, Shirin Neshat,
Gina Pane e spiegano: «essere donne non è un genere, ma un modo di vedere il
mondo, di sperimentare sul proprio corpo la conquista e la perdita».
Shirin Neshat, Marina Abramović, Sang A Han, Annette
Messager, Gina Pane: ognuna di loro ha trasformato il proprio corpo in un campo
di battaglia dove sperimentare tutto, dove la politica, la vita, il sangue, la
follia e la fantasia si intrecciano in una lotta continua contro le
convenzioni. Essere donna, come scrive Oriana Fallaci, «è un’avventura che
richiede un tale coraggio, una sfida che non finisce mai.»
Nella storia, il corpo delle donne è stato un territorio
conteso, un simbolo da controllare, un’idea da normare. Queste artiste, ribelli
e disobbedienti, hanno sfidato il manicheismo del canone, rompendo le gabbie
imposte dal patriarcato e dalle tradizioni. Hanno rifiutato di essere oggetti
passivi e si sono trasformate in soggetti attivi, utilizzando il loro corpo
come mezzo di resistenza e di espressione, ridefinendo cosa significhi essere
donne.
Le loro opere sono come “un fucile carico,” come ci ha
insegnato Emily Dickinson, pronte a metterci al muro e a farci ripensare ciò
che credevamo di sapere. Fallaci scrive: «Essere donna significa vivere di
emozioni, di paure, di piaceri, di speranze e di disperazioni che gli uomini
non conoscono.»
Attraverso l’arte, queste donne ci costringono a
confrontarci con un mondo nuovo, un mondo in cui il corpo non è solo un
involucro, ma uno strumento potente per conoscere e trasformare la realtà.
Seguendo il pensiero di Lea Vergine, il corpo è il luogo in
cui si sperimenta tutto, in cui si sente tutto, un ponte tra l’individuo e il
mondo, che non può essere ignorato o negato. “Essere donna” è un atto di
ribellione, una sfida continua contro un sistema che cerca di limitare e
definire, ma che queste artiste hanno saputo trasformare in un’opportunità per
ridefinire i confini dell’arte e della vita.
Il percorso espositivo riunisce iconici esempi di Body Art,
come “Thomas Lips” (1975-2002) di Marina Abramović (Belgrado, Serbia, 1946),
documentazione di una tra le performance più brutali durante la quale l’artista
si incide sull’addome un pentacolo con un rasoio davanti a un pubblico di
astanti che metteranno fine al supplizio portandola in ospedale, salvandola,
restituendo quell’attenzione e quell’amore espressi dall’artista nell’azione
performativa. E ancora “Cicatrice de l’action” (1974-1975) di Gina Pane
(Biarritz, Francia, 1939 – Parigi, Francia, 1990) nella quale l’autolesionismo
è un atto di indagine del proprio corpo, anche attraverso il dolore e il segno
nella carne, e quindi un atto di apertura, in ultima analisi di amore, nonché
un estremo tentativo di introspezione e di spiritualità.
Il corpo femminile come strumento di ricerca di spiritualità
è anche quello dipinto e cucito da Sang A Han (Seoul, Corea del Sud, 1987): un
corpo capace di essere sensuale e allo stesso tempo delicato e fiabesco, ma
anche un corpo – quello di una donna madre – capace di creare la vita.
L’esplorazione della femminilità è da sempre perseguita anche da Annette
Messager (Berck, Francia, 1943) in opere quali “Mes Voeux” (1997) che
combinando fotografie di varie parti del corpo evoca una pluralità di identità
fisiche, psicologiche, sessuali, che sovrapponendosi creano un amalgama di
relazioni e di esperienze.
La rappresentazione identitaria è concetto molto caro a
Shirin Neshat (Qazvin, Iran, 1957), declinata all’ambito geografico e sociale
di provenienza: l’Iran. Tra le serie fotografiche più note, “Women of Allah”
indaga attraverso l’autoritratto la figura femminile e il suo ruolo nella
società iraniana dopo la rivoluzione islamica: creatura delicata celata dal
velo, ma forzatamente combattente (si veda la presenza dei fucili).
Per tutte il corpo è lo strumento attraverso cui agire,
nella vita e nell’arte.
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